Don Luigi Sturzo
Don
Luigi Sturzo nacque a Caltagirone il 26 novembre 1871 da Felice e
Caterina Boscarelli: il padre faceva parte della nobile famiglia dei
Baroni d’Altobrando e la madre faceva parte di una famiglia borghese
calatina. Fin da piccolo fu debole di costituzione fisica e quindi fu
costretto a rimanere a casa, con le tenerissime cure dei genitori.
Siccome non poté andare a scuola, andò al seminario di Acireale, dove
soggiornò dal 1883 al 1886; qui conobbe Battista Arista, suo compagno
di camerata. A causa del tempo cattivo che proveniva dall’Etna, dovette
trasferirsi al seminario di Noto, in cui c’era un clima più mite:
proprio grazie a questo poté restare presso tale seminario per due
anni. Nel 1888 Luigi Sturzo andò al seminario di Caltagirone e fu un
discepolo eletto e prediletto, il migliore, e qui si diplomò nello
stesso anno del suo ingresso.
Il 19 maggio del 1894 fu ordinato sacerdote alla chiesa del Santissimo
Salvatore dal vescovo di Caltagirone Saverio Gerbino e nel 1896 alla
Pontificia Università Gregoriana di Roma ottenne la laurea in teologia.
Sempre nel 1894 s’iscrisse all’università della Sapienza di Roma e
all’Accademia di San Tommaso d’Aquino. Luigi Sturzo, allo scopo di
mettere in contatto gli studenti delle diverse regioni d’Italia, fondò
l’Associazione dei Giovani Ecclesiastici, della quale divenne
presidente il futuro vescovo di Bergamo Radini-Tedeschi e Sturzo
divenne il vicepresidente. Mentre si preparò alle lauree, insegnò al
seminario di Caltagirone filosofia, sociologia, diritto pubblico
ecclesiastico, italiano e canto sacro.
Impegno civile e politico
Nel 1897 istituì a Caltagirone una Cassa Rurale dedicata a San Giacomo
e una mutua cooperativa, che diede fastidio ai liberali conservatori e
fondò anche il giornale di orientamento politico-sociale La croce di
Costantino il 7 marzo dello stesso anno. I redattori de La croce di
Costantino furono Mario Carfì, Don Luigi Caruso, il Canonico Giuseppe
Montemagno, il Canonico Filippo Interlandi junior, il Canonico
Salvatore Cremona, Carmelo Caristia, Diego Vitale, Diego Caristia e il
fratello di Luigi Sturzo, Mario Sturzo. Quest’ultimo era un uomo colto,
d’intelligenza sottile, e fu autore di romanzi e di racconti, come I
Rivali, Il figlio dello zuavo e Adelaide.
Oltre ai consensi il giornale suscitò le ire dei massoni a causa del
metodo rettilineo e coraggioso che usava Luigi Sturzo per ottenere i
consensi, quindi il 20 settembre 1897 bruciarono una copia del
giornale, nella piazza principale di Caltagirone. Con i fatti di maggio
del 1898, le repressioni antioperaie di Bava Beccaris, gli stati
d'assedio nelle principali città, il processo a Davide Albertario, si
comincia a delineare l'impossibilità della convivenza all'interno
dell'Opera dei Congressi fra conservatori e democratici cristiani.
Il mantenimento dell'unità dei cattolici, voluta da Papa Leone XIII,
diventava sempre più arduo. Il sacerdote di Caltagirone tentò invano di
introdurre nell'Opera una riflessione sui problemi dell’Italia
Meridionale, che aveva sempre più approfondito nell'esperienza diretta
del mondo contadino negli anni della crisi agraria. "Pochi — scrisse
Gabriele De Rosa — ebbero, come Sturzo, la conoscenza specifica della
struttura agraria e artigianale siciliana e la sua capacità di analisi
degli effetti negativi del processo di espansione del capitalismo
industriale sui fragili mercati del Sud e sulla piccola e media
borghesia agricola e artigiana locale, che si sfaldava sotto i colpi di
una impossibile concorrenza. Tra le cause della disgregazione dei vari
ceti artigianali in Sicilia, Sturzo indicava la 'forte concorrenza
delle grandi fabbriche estere o nazionali di materie prime'; la lotta
'rovinosa' che si facevano gli artigiani locali, la mancanza di
capitali, l'indebitamento, l'impoverimento delle campagne dovuto alla
crisi agraria".
Luigi Sturzo nel 1900 fu visto tra i fondatori della Democrazia
Cristiana Italiana, ma in realtà aveva pure rifiutato la tessera del
partito, guidato da Romolo Murri e nello stesso anno, essendosi
scatenata in Cina la persecuzione dei Boxers, che volevano la cacciata
degli stranieri dalla Cina, Sturzo presentò formale domanda al vescovo
per partire missionario in quelle terre lontane, ma il vescovo, date le
sue precarie condizioni di salute, gli negò il suo consenso e Sturzo
ubbidì. Verso i primi anni del ‘900 Luigi Sturzo divenne il
collaboratore del quotidiano cattolico Il Sole del Mezzogiorno e nel
1902 guidò i cattolici di Caltagirone alle elezioni amministrative.
Don Luigi Sturzo nel 1905
Nel 1905 verrà nominato consigliere provinciale della Provincia di
Catania. Sempre nel 1905, alla vigilia di Natale, pronunciò il discorso
di Caltagirone su “I problemi della vita nazionale dei cattolici”,
superando il “non expedit”. Nello stesso anno venne eletto pro-sindaco
di Caltagirone (mantenne la carica fino al 1920). Nel 1912 divenne
vicepresidente dell’Associazione Nazionale Comuni d’Italia.
Nel 1915, essendo stato molto attivo nell’Azione Cattolica Italiana,
divenne il Segretario generale della Giunta Centrale del movimento. Nel
1919 fondò il Partito Popolare Italiano (del quale divenne segretario
politico fino al 1923) e il 18 gennaio 1919 si compie ciò che a molti è
apparso l’evento politico più significativo dall’unità d’Italia:
dall’albergo Santa Chiara di Roma, don Sturzo lancia "l’Appello ai
Liberi e Forti", carta istitutiva del Partito Popolare Italiano:
«A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono
alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza
pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme
propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà».
Nello stesso anno, infine esce a Roma Il Popolo Nuovo, organo
settimanale del neonato partito. Don Sturzo rende il Partito Popolare
Italiano una formazione molto influente nella politica italiana e un
suo voto impedisce a Giovanni Giolitti di assumere il potere nel 1922,
permettendo così l'insediamento di Luigi Facta.
Al Congresso di Torino del Partito Popolare (12-14 aprile 1923), Luigi
Sturzo, sostenuto dalla sinistra di Francesco Luigi Ferrari e di Luigi
e Girolamo Meda, fa prevalere la tesi dell'incompatibilità fra la
concezione "popolare" dello stato ed il totalitarismo fascista[1], con
la conseguente uscita dei ministri cattolici dal governo Mussolini.
Nel partito rimangono in contrasto le due anime, la sinistra contraria
ad ogni accordo con il governo e la destra favorevole alla
collaborazione. Alla fine le due correnti del partito si accordano per
un'ambigua condotta ("né opposizione, né collaborazione"), però questa
linea dura solo una settimana, visto che alcuni esponenti popolari
vogliono uscire dal governo e fare opposizione, mentre la corrente di
destra intende rimanere al governo e collaborare. La posizione dei
popolari decisa al congresso provoca l'immediata reazione di Mussolini,
che, appoggiato dalla piccola corrente di popolari di destra, il 17
aprile convoca la rappresentanza al governo del PPI per ottenere
chiarimenti, dando anche inizio ad una dura campagna contro il
"sinistro prete". Inoltre Mussolini, presentando Sturzo come un
ostacolo alla soluzione della questione romana, fa in modo che Sturzo
perda anche l'appoggio delle gerarchie vaticane[1]. Alla fine di questa
campagna il prete di Caltagirone il 10 luglio è costretto a dimettersi
dalla segreteria del partito.
L'esilio e il rientro
Luigi Sturzo decise di lasciare gli incarichi nel partito e si rifugiò
dal 1924 al 1940 prima a Londra, a Parigi e poi a New York. A Londra
animò diversi gruppi politici di italiani fuoriusciti e di cattolici
europei e nel 1936 fonda il People and Freedom Group e negli USA
intrecciò dei rapporti con Carlo Sforza, Lionello Venturi, Mario
Einaudi, Gaetano Salvemini, l’amico non credente che ebbe a definire
l’esule di Caltagirone “Himalaya di certezza e di volontà”. Dopo questo
periodo ritornò in Italia sbarcando a Napoli e poi si chiuse in un
isolamento volontario in un convento di Roma. Difese la libera
iniziativa con l'argomento dell’economicità e della libertà. Nel 1945,
finita la guerra, Luigi Sturzo rientra in Italia, riprendendo una vita
politica attiva. Dopo la seconda guerra mondiale non svolse un ruolo
dominante nella scena politica italiana, ma il 17 dicembre 1952 fu
nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi.
Sturzo accettò la nomina aderendo al gruppo misto solo dopo aver
ricevuto la dispensa da papa Pio XII. Morì a Roma l’8 agosto 1959
all’età di ottantotto anni; oggi è sepolto nella Chiesa del Santissimo
Salvatore a Caltagirone. A 40 anni dalla sua morte il comune di
Caltagirone pose nella Scalea del Palazzo Municipale una lapide in
memoria di Luigi Sturzo.
Pensiero politico
Tutta l'attività politica di Sturzo è fondata su una questione
centrale: dare voce in politica ai cattolici. Sturzo si impegna per
dare un'alternativa cattolica e sociale al movimento socialista.
Per Sturzo i cattolici si devono impegnare in politica, tuttavia tra
politica e Chiesa deve esserci assoluta autonomia. La politica, essendo
complessa, può essere mossa da princìpi cristiani, ma non si deve
tornare alla vecchia rigidità e all'eccessivo schematismo del passato.
Il Cristianesimo è, insomma, la principale fonte di ispirazione, ma non
l'unica.
La società deve saper riconoscere le aspirazioni di ogni singolo
individuo: “la base del fatto sociale è da ricercarsi nell'individuo” e
l'individuo viene prima della società; la società è socialità: si
fonda, cioè, su libere e coscienti attività relazionali.
Sturzo è contrario ad una società immobile ed il movimento è dato dalle
relazioni interindividuali tra le persone; la società non deve essere
un limite alla libertà dell'individuo. Non può essere, tuttavia,
definito iperindividualista.
All'interno di questo schema sociale multiforme la religione non può
essere strumento di governo. Il cristianesimo ha dato qualcosa ad ogni
corrente politica, quindi nessuno può dire di possedere il monopolio
della verità religiosa.
L'individuo deve scegliere da sé se seguire la propria coscienza di
buon cittadino o di credente; non è la Chiesa che deve indirizzarlo
nell'atto della scelta, la quale attiene strettamente alla sfera
individuale del singolo. Il PPI nasce perciò come aconfessionale: la
religione può influenzare, ma non imporre. In questo modo si palesa una
concezione liberale del partito.
In economia Sturzo non è un liberale classico, ma da un lato denuncia
il capitalismo di Stato che ritiene dilapidatore di risorse, e
dall'altro rimane convinto della possibilità di interventi dello Stato
in economia, anche se per un tempo breve e finalizzato ad un risultato.
Il suo faro è la centralità della persona, non delle masse; è un
fautore dello stato minimo e censura già all'epoca l'eccessivo
partitismo. Si dichiara, inoltre, ostile a una concezione statale
panteistica.
In questo modo fonda il Popolarismo, dottrina politica autonoma e
originale, che non è altro che la messa in pratica della Dottrina
Sociale della Chiesa cattolica, arricchita dal suo pensiero e lavorio,
spesso profetica e -pur essendo prettamente pragmatica- profondamente
intessuta eticamente.
Sturzo fu avversario del centralismo di Giolitti, di Mussolini, ma
anche del primo impianto dell'Italia repubblicana, trovando sbagliata
l'assenza del regionalismo, necessario per concedere ampia autonomia
individuale. Fu un grande amante della scrittura storica.