DON MINZONI GIOVANNI
Biografia
Nato in una famiglia
medio-borghese, studiò in seminario e nel 1909 fu ordinato prete.
L'anno seguente fu nominato cappellano ad Argenta, da cui partì nel
1912 per studiare alla Scuola Sociale di Bergamo, dove si diplomò.
Ammirato per il suo coraggio e per la sua volontà di
collaborazione e di dialogo con il proletariato contadino, allo scoppio
della Prima guerra mondiale fu inviato al fronte come cappellano
militare.
La prima guerra mondiale
Chiamato alle armi nell'agosto 1916, aveva chiesto di poter
svolgere il suo servizio come cappellano tra i giovani militari al
fronte e, in un momento molto critico della battaglia del Piave, aveva
dimostrato tale coraggio da meritare la medaglia d'argento.
Il dopoguerra
Al termine del conflitto torna ad Argenta, dove nonostante la sua
adesione al Partito Popolare Italiano diventa amico del sindacalista
socialista Natale Gaiba, ucciso dalle camicie nere nel 1923: questo e
molti altri episodi lo convinceranno a disprezzare il fascismo.
Alle numerose iniziative in campo sociale egli aggiunse
un'adesione entusiasta al cooperativismo, mettendosi contro il regime
fascista che invece sosteneva il corporativismo.
Poco dopo Minzoni rifiutò energicamente l'istituzione dell'Opera
nazionale balilla ad Argenta, preferendo educare in prima persona i
giovani della città: grazie all'incontro con don Emilio Faggioli, già
fondatore nell'aprile del 1917 del gruppo scout Bologna I, e poi
assistente regionale dell'Emilia-Romagna, don Minzoni si convinse della
validità dello scautismo, per cui decise di fondare un gruppo scout
nella propria parrocchia.
Gli scout ad Argenta
L'8 luglio 1923, l'assistente ecclesiastico regionale dell'ASCI,
don Emilio Faggioli fu invitato nel teatro parrocchiale di Argenta a
tenere una conferenza sulla validità educativa dello scautismo.
"Attraverso questo tirocinio e disciplina della volontà e del corpo",
affermò don Faggioli, "noi intendiamo formare degli uomini di
carattere". Dalla galleria lo interruppe allora il segretario del
fascio di Argenta "C'è già Mussolini...!". Monsignor Faggioli riprese
il suo intervento spiegando all'uditorio che lo scautismo agisce sopra
e al di fuori delle fazioni politiche. "Vedrete da oggi lungo le vostre
strade i giovani esploratori col largo cappello e il giglio sopra il
cuore. Guardate con simpatia questi ragazzi che percorreranno cantando
la larga piazza d'Argenta." "In piazza non verranno!" esclamò ancora il
segretario del fascio. Gli rispose allora don Minzoni stesso: "Finché
c'è don Giovanni, verranno anche in piazza!". L'applauso dei giovani
troncò il dialogo. [1]
Più di settanta iscritti al gruppo degli esploratori cattolici di
Argenta erano una realtà, e le minacce non erano servite al loro scopo.
La morte
Ormai inviso al governo mussoliniano, la sera del 23 agosto 1923
venne ucciso a bastonate da due squadristi, facenti capo all'allora
console di milizia Italo Balbo che, travolto dallo scandalo, dovette
dimettersi.
Poco prima della morte scriveva:
«a cuore aperto, con la preghiera che mai si spegnerà sul mio
labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione,
forse la morte per il trionfo delle causa di Cristo»
Si era realizzata la preghiera fatta a Dio prima di partire per la guerra:
«Prego Iddio che mi faccia morire compiendo sino all'ultimo
momento il mio dovere di sacerdote e italiano, felice di chiudere il
mio breve periodo di vita in un sacrificio supremo».
Giovanni Paolo II ha scritto di lui:
«Don Minzoni morì "vittima scelta" di una violenza cieca e
brutale, ma il senso radicale di quella immolazione supera di gran
lunga la semplice volontà di opposizione ad un regime oppressivo, e si
colloca sul piano della fede cristiana. Fu il suo fascino spirituale,
esercitato sulla popolazione, sulle forze del lavoro ed in particolare
sui giovani, a provocare l'aggressione, si volle stroncare soprattutto
la sua azione educativa diretta a formare la gioventù per prepararla
nel contempo ad una solida vita cristiana e ad un conseguente impiego
per la trasformazione della società. Per questo gli Esploratori
Cattolici sono a lui debitori.»
(Papa Giovanni Paolo II, Lettera all'Arcivescovo di Ravenna in occasione del 60° della morte di don Minzoni).
Effetti sulla stampa del tempo
Alla notizia della sua dipartita, i quotidiani Il Popolo e La Voce
Repubblicana denunciarono il fatto indicando Italo Balbo come presunto
mandante dell'omicidio, che però fu prosciolto nel processo. Un nuovo e
più equo processo si ebbe solo al termine della seconda guerra mondiale.